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Concludiamo il ciclo di interviste sull’evoluzione della sanità integrativa e, in particolare, sulle strategie di comunicazione.

Abbiamo intervistato Andrea Testi – Area Comunicazione e Sviluppo Mefop Spa

Mefop dispone certamente di un osservatorio privilegiato sulla sanità integrativa: quali evoluzioni avete osservato nella “cultura digitale” dei fondi sanitari in questi anni?

L’ultimo quinquennio ha registrato certamente una forte spinta verso l’adozione dei canali digitali, tanto nella comunicazione verso l’esterno quanto all’interno dell’organizzazione aziendale.  C’è in primo luogo una consapevolezza “nuova” negli operatori, quindi direi una spinta interna all’autoriforma. Incidono però anche numerosi fattori esterni: l’obbligo previsto dall’Anagrafe dei Fondi sanitari di certificare l’allocazione dei rimborsi, da cui consegue l’esigenza di organizzare l’analisi dei dati; la disciplina comunitaria in tema di privacy; le crescenti sfide poste dalla cybersecurity.

Infine, ritengo che agisca un forte effetto emulazione: i players della sanità integrativa sono molto attenti alle strategie messe in atto da altri fondi analoghi o – nel caso di outsourcers e compagnie assicurative – dai concorrenti.

In questo scenario, quale ruolo assume il management dei Fondi sanitari? E in che modo Mefop sta supportando gli attori del sistema in questa trasformazione epocale?

Io credo che alcuni player abbiano ancora difficoltà a comprendere, e quindi governare efficacemente, la portata complessiva del fenomeno.  Portata che non si limita a realizzare un nuovo portale per le prestazioni o rinnovare il layout di un sito, ma investe l’intero processo di organizzazione del servizio.

In questo senso, Mefop ha una visione molto chiara: la trasformazione digitale è cruciale per due motivi principali. Il primo: avvicinare i fondi sanitari ai bisogni degli iscritti, rendendo l’offerta di prestazioni accessibile e trasparente; il secondo, favorire il collegamento con gli attori del Sistema Sanitario Nazionale, promuovendo lo scambio di dati e – conseguentemente – lavorando sulla complementarietà di questi due “pilastri”.

Ormai da anni, quindi, promuoviamo un’intensa attività di divulgazione su questi temi.

Quali analogie vede con il processo di evoluzione che ha investito i “cugini” della previdenza complementare?

È certamente possibile fare un’analogia con l’evoluzione dei fondi pensione, che sono investiti da una sfida analoga.

D’altro canto, però, la previdenza complementare si differenzia per la presenza di una normativa molto più stringente. Pensate ad esempio che le recenti direttive emanate dalla Covip - Commissione di vigilanza sui Fondi Pensione - a partire da giugno 2022, imporranno ai fondi pensione di predisporre sistemi che consentano agli iscritti di effettuare le operazioni via web.

Attraverso l’implementazione delle infrastrutture tecnologiche, la quantità dei dati raccolti da parte degli enti sanitari è sempre più consistente. Cosa manca, a suo avviso, per favorire una maggiore trasparenza verso l’esterno di questi dati (ad es. quelli sui consumi sanitari per tipologia di prestazione)? E come si potrà in futuro favorire forme di integrazione con le banche dati dei policy makers pubblici, dato che oggi i due “mondi” sono a tutti gli effetti “vasi non comunicanti”?

Innanzitutto, è necessario utilizzare lo stesso linguaggio, una tassonomia comune, per integrare i due database. In questo caso, i fondi sanitari dovranno armonizzare le proprie nomenclature a quelle del SSN, ad esempio riferendosi ai Diagnosis Related Groups (DRG) o ai Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA). Nel momento in cui i fondi sanitari utilizzeranno la stessa tassonomia, essi avranno maggior forza – in termini di accountability - per proporsi come interlocutori privilegiati nel rappresentare la spesa sanitaria privata. Una collaborazione di questo tipo consentirebbe di indagare efficacemente le motivazioni per cui un cittadino iscritto al fondo sanitario sceglie il canale privato invece che il SSN.

Secondo lei, la spinta verso l’integrazione dei dati dovrebbe essere politica o tecnica?

In linea di principio, l’integrazione dei dati dovrebbe rappresentare un approccio sistemico comune a tutti i fondi sanitari. Ciò si scontra però con l’eterogeneità degli operatori, sia in termini giuridici sia di rappresentanza. Dato che i principali fondi sanitari si basano sulla contrattazione collettiva, ritengo sarebbe necessario un forte commitment politico a livello nazionale per spingere realmente a fondo questo processo.

Negli ultimi anni i social media hanno cambiato radicalmente le strategie di comunicazione. In che misura secondo lei, questo cambiamento ha interessato anche gli operatori della sanità integrativa?

Anche in questo ambito siamo all’ “anno zero”, all’alba di una nuova era per i fondi sanitari. Partiamo dal presupposto che i social media hanno come scopo primario quello di creare e rafforzare l’engagement con gli utilizzatori: in questo senso, si tratta di un’esigenza sentita in misura non così forte dai fondi sanitari, che sono di origine contrattuale e l’adesione ai quali – quindi- è prevalentemente di natura “non volontaria”.   Ma, ciò premesso, anche i fondi hanno cominciato a cogliere la potenzialità di questi canali, e noi come Mefop intendiamo supportarli tramite il progetto Social Welfare Hub – SwHub. Si tratta di una community rivolta alle agenzie di comunicazione e ai i social media manager – che costituisce un luogo di confronto e ricerca sul rapporto tra welfare integrativo e social media.  Le ricerche, i seminari e le analisi sono distribuiti ai nostri stakeholders (Fondi pensione, Fondi sanitari, Casse Mutue), con l’intenzione di supportarne poi le scelte in tema di strategia comunicativa.

Infine, ci consenta una rapida “incursione” in casa nostra. Sanifonds Trentino ha raccolto in un report il processo di trasformazione digitale condotto dal 2016 ad oggi. Cosa ne pensa?

Lo abbiamo analizzato e la sua lettura ci ha suggerito due elementi: il primo, è la conferma di quanto sia importante “dire ciò che si fa”, rendicontare quindi agli stakeholders di un soggetto che – ricordiamo – è di natura not for profit, i risultati degli investimenti digitali. Il secondo, è che la trasformazione digitale è un processo trasversale a tutte le aree organizzative, non certamente limitato alla comunicazione. E che, come tale, richiede un forte coinvolgimento del management aziendale.

 

  

Andrea Testi 

Area Comunicazione e Sviluppo Mefop Spa